PORTFOLIOS
HYDRUNTUM
Curzia Ferrari sulla rivista L’Esopo, Milano, dicembre 1993
Una segnalazione merita la cartella di fotografie edita dal Gruppo Dioguardi con il titolo Hydruntum.
L’autrice è Luciana Galli, esperta di comunicazione e linguaggi visivi, applicati alle tematiche della fotografia, appunto, nonché al restauro di opere d’arte.
La Galli possiede una misura vigile che le consente un gioco tagliente di riflessi in cui cantano non le ombre ma le impronte dirette delle cose rappresentate, le case, le pietre, il faro sulla roccia, i torrioni forti su strade di cenere. Tutto in cadenze scarne, quasi un memento di storie culturali asciugate dal tempo, fuori dalle pagine dei libri. Rivolgendosi preferibilmente al dettaglio, il tema iconografico diventa in lei macroscopico, visto com’è attraverso un processo di avvicinamento in primo piano: e questo, in un certo senso, fa apparire i suoi “paesaggi” travolti da un vero furor pictoricus. Già, furor pictoricus, poiché a livello illusionistico, queste fotografie – con la loro infinita gamma di grigi- riescono a farci vedere il colore; ne fanno anzi un elemento cardine nella restituzione del soggetto. Non manca, infine, una certa spettacolarità alle foto di questa maga barese del clic. Il suo curriculum c’informa di contributi dati all’editoria con copertine di libri e manifesti, e alla pubblicità con portfolios di vario genere. Se ha saputo coniugare, come in Hydruntum, rigore e piacevolezza significante, certamente ha lavorato molto bene.
PER IL TEATRO PETRUZZELLI
Introduzione di Christine Farese Sperken, 1991
Le fotografie di Luciana Galli, documenti, inutile dirlo, doppiamente preziosi, sono state riprese da posizioni del tutto inusuali, cioè dall’impalcatura sotto la cupola, a conclusione dei restauri. La distanza ravvicinata che determina anche il particolare taglio delle immagini, ci introduce ai segreti e ai trucchi della pittura illusionista, costretta a ricorrere a scorci bruschi e deformati che solo una visione dal basso restituisce alle loro “reali” dimensioni. Delle nove foto presentate, tutte caratterizzate dalla stessa attenzione per i particolari, riscoperti o visti per la prima volta …
L’ESTASI E L’OMBRA
Pietro Marino, relazione nella sala priorile della Basilica di San Nicola, 25 novembre 1989.
Dai restauri del soffitto della Basilica di San Nicola ha preso spunto e occasione il lavoro di Luciana Galli.La nostra fotografa si è arrampicata arditamente sulle impalcature ed ha spinto il suo obiettivo là dove forse mai nessuno era arrivato (o almeno non ne abbiamo documentazione). Dal ricco materiale inedito raccolto, Luciana Galli avrebbe potuto trarre e pubblicare una documentazione ampia e puntuale, di sicuro interesse, di agevole illustrazione per noi. Invece, ha preferito proporre un discorso che può, a prima impressione, lasciare sconcertati: nelle 12 tavole qui raccolte non appaiono mai San Nicola, le tele a lui dedicate, le sue storie, né la Basilica stessa, né vedute d’insieme. No. Qui sono soltanto immagini – in gran parte primi piani – di alcuni particolari in apparenza marginali. Che cosa sono? Si Tratta appunto di particolari delle grandi cornici di recinzione e delimitazione del soffitto barocco, delle figure alate di sostegno decorativo degli stipiti delle volte, di affreschi d’angolo delle volte del transetto. Ma, ancora, mentre fissava questi particolari inediti, l’esploratrice Luciana Galli si è imbattuta negli spazi segreti e abbandonati rimasti tra il soffitto medievale in legno ed il controsoffitto secentesco. Abbaini o mansarde, per così dire, in cui giacciono ancora le armature e le strutture usate dagli artigiani di Carlo Rosa. E la cartella si chiude, emblematicamente, sulla stanza quasi metafisica, con una seggiola abbandonata, in cui entra un fascio di luce da un occhio di bue, che è poi la finestrella rotonda che si apre proprio sotto la cuspide della navata centrale, sulla piazza della Basilica. Che senso ha dunque questa ricerca, questa proposta? Devo ricordare subito che Luciana Galli è una fotografa poco incline a romanticismi o a divagazioni, per così dire, pittoriche o d’effetto. Il suo sguardo fotografico è sempre professionalmente preciso e lucido, senza sbavature né compiacimenti, vigilato da un senso quasi geometrico di essenziali rapporti formali. Pure, questo occhio nitido è stato messo qui al servizio di un’emozione. Quale? Roland Barthes, nelle sue suggestive riflessioni dal titolo La camera chiara osserva che la fotografia è sempre “fotografia di qualche cosa”. Cioè: a differenza della pittura che, per quanto voglia essere figurativa o realistica, è tutta frutto di segni, colori, materie d’invenzione del pittore, “altri” rispetto all’oggetto che egli vuole rappresentare o cui s’ispira, nella pellicola fotografica si posa sempre una luce, si deposita fisicamente e chimicamente qualcosa che proviene dal corpo inquadrato dall’obiettivo. E’ proprio questa, come dire, garanzia di deposito del reale che ha fatto la fortuna della fotografia (sin dal suo nascere –non a caso- nella cultura del positivismo). Ma è anche qui la suggestione del suo inganno poetico: perché – ricorda sempre Barthes – proprio questo depositarsi, coagularsi, fermarsi in un’immagine che era reale allora, nel momento dello scatto, e che poi si è dissolta nel tempo, proprio in questa trafittura quasi dolorosa, mortuaria, è il segreto della fotografia. Bene. Luciana Galli ha sentito questa trafittura del tempo sepolto, avventurandosi nei perimetri del racconto che intendeva documentare. Così è venuto fuori un discorso, direbbe Lacan, “lungo i bordi”: in quella specie di interstizio ideale, di fessura emozionale che sta fra il reale razionale e l’irrazionale immaginario, fra il presente vissuto e la memoria del passato sepolto.